Fino agli anni 50, Cascina Farisengo – così come tutte le cascine cremonesi di vaste dimensioni – ospitava 13-15 famiglie di lavoratori (ognuna aveva di solito più di 10 componenti per famiglia). I contadini abitavano nelle case coloniche situate intorno all’aia e lavoravano all’interno della struttura o in aziende agricole vicine svolgendo diverse mansioni.
Vi erano ad esempio i Bergamini che si occupavano del bestiame e della mungitura e i Casari addetti alla preparazione dei formaggi. Vi erano poi i Contadini veri e propri che si occupavano del lavoro nei campi: aratura, semina, erpicatura, raccolto, taglio del fieno. E infine i Cavallanti o Bifolchi che si occupavano del lavoro nei campi con l’impiego degli animali (cavalli o buoi) e in più accudivano gli animali.
Le cascine erano un tempo piccoli paesi: tutti avevano un compito o un ruolo ben preciso e tutti collaboravano alla organizzazione all’ordine all’interno della struttura. Oltre ai contadini, c’era chi svolgeva mestieri artigiani, quali il fabbro, il falegname o il ciabattino.
Normalmente nella Cascina viveva anche il Fattore (capo uomo), responsabile dell’intera Azienda Agricola che organizzava il lavoro dei contadini. Il fattore rispondeva solo e unicamente al padrone con il quale aveva un rapporto di fiducia e con il quale si teneva in contatto quotidianamente. Il fattore riceveva il doppio del compenso degli altri lavoratori in azienda.
Fare San Martino
Ai primi di novembre il contratto di lavoro era annualmente rinnovato, per alcuni rescisso. Il giorno 11 novembre, nella ricorrenza di San Martino, sulle strade infangate o polverose si alternavano i carri che partivano ad altri che arrivavano nella cascina. Ancora oggi, Fare San Martino o Fare sanmartino (fàa Sàn Martéen o fàa Sàn Martín) è un modo di dire usato nel territorio a vocazione agricola della pianura padana e significa cambiare lavoro e luogo di lavoro o, in senso più ampio, traslocare.
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